L’introduzione redatta da Giampiero Lupatelli per la pubblicazione di Unioncoop Torino realizzata con il supporto tecnico di Appenninol’Hub per il Programma Europeo Interreg PITER
di Giampiero Lupatelli
Un progetto ambizioso e fertile
Confermando una antica e partecipe frequentazione dei territori montani e mettendo in campo una attenzione non episodica ai problemi dello sviluppo locale, Confcooperative Piemonte Nord ha sviluppato nei mersi scorsi un esteso e approfondito lavoro di ricerca sulle esperienze cooperative di promozione, implementazione e gestione di progetti di sviluppo in ambito turistico.
Di questa ricognizione gli esiti vengono presentati ora all’attenzione della comunità intellettuale che la montagna, sempre più, ha saputo raccogliere attorno a sé.
La ricerca si è sviluppata nell’ambito del Progetto Cuore Innovativo – Coeur Innovant del Piano Integrato Territoriale Alte Valli Cuore delle Alpi, parte del Programma di Cooperazione INTERREG V-A Francia-Italia ALCOTRA per il periodo 2014/2020.
La ricerca propone una ricognizione, estesa e approfondita, delle molte esperienze che nel nostro paese possono ormai essere ricondotte ad approcci di sviluppo locale di impronta comunitaria, focalizzando in particolare la propria attenzione su realtà riconducibili a soggetti di natura cooperativa e ai temi del turismo sostenibile.
Per parte mia è innanzitutto scontato l’invito – un invito che esprimo calorosamente anche attraverso queste note – a consultare e interrogare con avida curiosità un lavoro che propone ad uno sguardo non superficiale un panorama di esperienze di straordinario interesse e di evidente utilità.
Qualche parola in più, tuttavia, la devo spendere per delineare i contorni di una riflessione che, prendendo spunto dalla ricca sollecitazione proposta, voglia anche argomentare considerazioni rivolte alla prosecuzione e allo sviluppo dello sforzo operato, a partire intanto da una amichevole valutazione critica degli esiti depositati in questo repertorio di temi e di indicazioni e di un loro possibile (anzi auspicabile!) profilo evolutivo alla luce delle esigenze e delle sollecitazioni che è possibile cogliere con sempre maggiore frequenza nel dibattito sullo sviluppo e le politiche territoriali.
Il discorso economico alla scala del locale
Un impegno, questo, che richiede per prima cosa di circoscrivere e qualificare il punto di vista a partire dal quale la valutazione proviene. Punto di vista che, nel mio caso, è quello di un economista territoriale che, nella sua ormai lunga attività professionale tutta spesa nel supporto delle amministrazioni e delle politiche pubbliche, si misura sistematicamente con i problemi del territorio per come si presentano alla scala della sua organizzazione locale.
Misurarsi con i problemi del locale interpretandolo in una prospettiva non episodica che rivolge alle molteplici realtà che ne articolano la presenza una attenzione ripetuta e sistematica, alla ricerca di qualche capacità di generalizzazione, richiede di fare i conti innanzitutto con la concreta realtà empirica di entità geografiche di dimensione variabile e di diversa – e talvolta anche incerta – caratterizzazione istituzionale.
Di queste realtà locali alle quali, di volta in volta abbiamo assegnato il nome di Distretto, di Comprensorio, di Comunità, di Sistema o di Coalizione, accompagnandolo quasi sempre con un attributo – “territoriale” – che poco aggiunge alla comprensione della sua natura, con certezza, si può forse solo affermare che tutte quante si collocano ad un livello di rappresentazione dei problemi significativamente inferiore di quello rappresentato dalla dimensione regionale.
Una scala, quella regionale, alla quale lo sguardo e gli strumenti interpretativi degli economisti si applicano con una certa consuetudine e familiarità e anche un po’ più agevolmente potendo impiegare, a quella scala, approcci che sembrano ancora reggere il vaglio della rispettabilità disciplinare.
Chi si muove al di sotto di quella soglia deve scontare intanto una rarefazione estrema dell’informazione statistica sulle variabili dell’economia; scarsità di informazione che costringe il discorso economico a stemperarsi nelle forme dell’analisi socio-economica.
Sotto questa insegna – socio-economia – si dovrebbe rappresentare la conquista di un più alto livello di compresenza e integrazione tra i diversi filoni delle scienze sociali, in una transdisciplinarietà particolarmente auspicabile.
Più frequentemente però, in queste applicazioni “locali” le cui ambizioni si devono misurare quasi sempre con mezzi limitati, ci si riduce ad una rappresentazione impressiva dei fatti e a una ricostruzione indiziaria delle loro determinanti. Mettendo in scena una narrazione la cui significatività deve molto, forse troppo, alla sedimentazione di esperienza e all’intrinseco talento investigativo dei suoi autori.
Alla scala locale le nozioni di micro e macro, per come si sono venute articolando nella riflessione disciplinare dell’economia – sino a marcarne i due principali campi di interesse, sempre più lontani tra loro e sempre meno riconducibili a una radice di pensiero comune – perdono molto di significato.
Un sistema locale, per quanto possa essere ridotto nelle proprie dimensioni ed elementare nelle relazioni sociali che lo contraddistinguono, presenta una soggettività comunque troppo complessa per essere trattata con i postulati e le regole della micro-economia.
Postulati che si rivolgono al singolo attore economico sulla cui presunta razionalità illimitata, nella tradizione quasi incontestata dell’utilitarismo benthamiano, posano i fondamenti dell’analisi economica dei comportamenti di produzione di consumo e di scambio.
Postulati che secoli di impegno disciplinare sempre più raffinato hanno ricondotto alla eleganza formale di algoritmi e di leggi che, non sempre guadagnando nel proprio valore euristico, hanno progressivamente raggiunto la dimensione astratta del sublime.
Al tempo stesso a questo nostro modesto idealtipo di sistema locale poco si attagliano le leggi generali della macro-economia e la strumentazione – anch’essa divenuta tanto sofisticata da dar vita a una nuova disciplina, l’econometria – del suo apparato statistico che, in questo contesto locale, difetta non solo della disponibilità dei dati ma della loro stessa attitudine ad essere sottoposti a quella legge dei grandi numeri che informa e legittima l’approccio statistico. Qui, nel locale, i numeri grandi non sono proprio!
Un micro-cosmo economico?
Piuttosto verrebbe da richiamarsi alla figura del micro-cosmo e alla sua ripetizione frattale della complessità, indifferente alla scala, che si ripropone, apparentemente identica, ogni volta che si circoscrive più in piccolo la dimensione dell’oggetto osservato ma, in funzione di questo si amplia la risoluzione della osservazione e dunque la sua capacità di discriminare e cogliere fatti significativi.
Una metafora letteraria, quella del micro-cosmo, che l’economista territoriale deriva dalle radici classiciste delle sue letture ma che, subito, gli richiama alla mente gli sforzi dei più sofisticati economisti indaffarati attorno alla teoria del valore, volti ad introdurre approcci lessicografici che richiedono una robusta capacità descrittiva dei fatti economici per interpretarne le ragioni.
Uno sforzo di comprensione dei caratteri del locale che l’analista deve spingere sino quasi alla intima adesione con l’oggetto della propria analisi; un approccio il cui esito più fortunato è reso con straordinaria efficacia dalla formula della coscienza di luogo, che un maestro del locale come Giacomo Beccattini, ci ha mirabilmente consegnato.
A questi microcosmi si deve dunque applicare la considerazione dell’economista territoriale che voglia mettere gli scarponi sul campo. Una considerazione che dovrà essere attenta a conoscere puntualmente, quasi biograficamente, i caratteri degli attori sociali e, contemporaneamente, a intenderne, mapparne e dipanarne i fasci di relazioni che strutturano i microcosmi come sistemi.
Relazioni reciproche tra gli attori locali, che strutturano la comunità come quelle – non meno numerose – che li legano a universi più estesi e configurano un universo più astratto rispetto ad ogni sentire di prossimità entro i quali comportamenti – più o meno utilitaristici e più o meno comunitari – degli attori locali traggono comunque la razione maggiore dei propri riferimenti materiali e culturali.
L’analisi economica del locale è dunque, innanzitutto, uno studio della idiosincrasia, dei caratteri originali e irripetibili di quel luogo; un luogo che dopo essere scampato fortunosamente alla pressione livellatrice della grande semplificazione fordista, deve oggi smarcarsi dalla trappola non meno insidiosa (e, in compenso, assai meno fascinosa) della offerta di policy uniformi e standardizzate in risposta a problemi che omogenei e uniformi non lo sono proprio.
A questi micro-cosmi singolarissimi si rivolge infatti una proposta di policy che non sempre presenta una duttilità e una capacità adattativa appropriata e che per di più si manifesta con l’autorità e la forza delle politiche europee per la coesione territoriale; un campo di politiche strutturato e altamente formalizzato. Politiche di coesione che rappresentano il naturale interlocutore delle istanze e delle aspirazioni emancipatrici dei territori e che solo in alcune circostanze si sono proposte nelle forme articolate originalmente da elaborazioni nazionali più mature e sofisticate.
La lezione della SNAI
L’esperienza, contraddittoria ma ricchissima di insegnamenti, che possiamo cogliere nella tormentata vicenda della Strategia Nazionale per le Aree Interne (SNAI), è sicuramente significativa a questo riguardo. Quella della SNAI è stata un’avventura particolarmente ambiziosa e di grande respiro che ha però conosciuto una implementazione davvero difficile di un approccio allo sviluppo locale che voleva proporsi non semplicemente come esercizio di stile ma con la forza di un disegno capace di invertire il corso di tendenze pluridecennali.
La SNAI nasce con la piena consapevolezza della singolarità irriducibile delle traiettorie di sviluppo dei diversi territori reclamando per loro l’esigenza di un approccio place based, fondato cioè sulle specifiche risorse di Capitale naturale, Capitale umano e Capitale sociale diversamente presenti in ogni territorio.
Un approccio che a molti è parso particolarmente appropriato nel misurarsi con l’articolata geografia dei territori interni italiani – in larghissima parte territori montani – rimasti ai margini (o oltre questi) dalla lunga stagione di crescita urbana e industriale che l’Italia ha conosciuto per larga parte della seconda metà del XX secolo, prima di sprofondare nella lunga stagione di inerzia e stagnazione che segna l’ultimo trentennio e che certo non ha potuto giovare a nessun processo di sviluppo, neppure locale.
Tuttavia, la SNAI si è proposta a queste diffuse singolarità con la pretesa di poterne avere, progressivamente, una comprensione sinottica, affidata alla capacità del suo sistema centrale di progettisti di costruire sintesi evolute, originali ed efficaci, metabolizzando le istanze caotiche del locale con una lunga digestione scandita da una ritualizzazione ossessiva delle procedure.
Nel suo lento passaggio dalla candidatura alla bozza di strategia, da questa al preliminare per arrivare all’approdo – ancora provvisorio – di una strategia che, per farsi carne – deve passare ancora le forche caudine di un accordo (il famigerato APQ, Accordo di Programma Quadro) il percorso della SNAI ha impegnato i territori in una lunga sequenza di passaggi, spesso intervallati da lunghi silenzi generati dalle indecisioni e dalle incertezze regionali, quando non anche dal passaggio di mano tra diverse articolazioni del governo centrale. Con una conseguente necessità di adeguare l’esito perseguito (la strategia) ai problemi del mezzo, cioè alla capacità operativa del sistema centrale. Una scelta che ha diluito gli sforzi e dilatato oltremisura i tempi del processo.
Con l’esito, secondario ma non irrilevante, di rendere scarsamente riconoscibile e dunque diversamente praticabile, il passaggio dalla dimensione della sperimentazione a quella di una più diffusa azione di implementazione sistematica, distribuendo diversamente attenzioni, responsabilità, risorse. Al punto che nella seconda stagione della SNAI (anche per specifico difetto di iniziativa e di presidio del centro) le nuove aree selezionate sono altrettanto sperimentali e pilota di quelle che le hanno precedute in un decennio (ormai) di tentativi ed errori. Anche di esiti felici, talvolta.
Tra il Catalogo e il Manuale
Torniamo allora alla nostra raccolta di buone pratiche e di esperienze (più o meno) felici di sviluppo turistico locale guidato da approcci comunitari. Per chiederci, dopo averne apprezzato l’intrinseco valore, che cosa possiamo fare per la sua migliore e più efficace utilizzazione.
Volendo schematizzare (molto) la tensione volta a dare forma (più) riconoscibile e codificata al prezioso lavoro di scavo e di setaccio che è stato fin qui condotto si esprime tra due polarità che si possono rappresentare rispettivamente nelle figure del Catalogo e del Manuale.
Come Catalogo, organizzato nelle forme più o meno sofisticate che la bravura degli autori – e la loro residua freschezza, dopo un lavoro così impegnativo come quello che è stato svolto – saprà restituirci, siamo di fronte a un repertorio ordinato, fruibile, suggestivo e sollecitante; un repertorio di soluzioni singolari date a configurazioni altrettanto singolari dei problemi affrontati.
Modesto è il contenuto “normativo” del Catalogo e molta della sua efficacia è rimessa (come in larghissima misura è necessario e giusto che sia) alla capacità dell’utente di interrogarlo con intelligenza e con qualche malizia, esplorando il campo degli esperimenti condotti da altri per cogliere non solo le soluzioni più vicine ai propri problemi ma anche i limiti di quelle soluzioni; limiti che bisogna cogliere e superare per dare risposte efficaci alle proprie domande e aspettative.
Come Manuale, la cui struttura ordinatrice e argomentativa esprimerà in misura ancor più importante la comprensione profonda, da parte degli autori, della lezione che una esperienza così estesa ed articolata ci propone, siamo di fronte ad un testo che ha invece l’esigenza di un forte carattere direttivo.
Un Manuale deve esprimere dunque una robusta capacità di selezionare scelte e soluzioni con livelli di validità più generali; sapendo comunque articolarle con opportuni (e se possibile documentati) richiami alle declinazioni opportune, alla variabilità e adattabilità necessaria per cogliere la lezione e saperla poi reinterpretare con lo spirito dei luoghi oltre che dei tempi.
Con il manuale l’Autore si fa Maestro, ne porta la responsabilità e deve sapere neutralizzare i rischi che l’esercizio di siffatta autorità concentra sul suo capo. Più facile a dirsi che a farsi.
Il rischio maggiore per un Manuale è quello di diventare metro, paradigma astratto per la valutazione di comportamenti concreti. Un rischio oggi sempre più presente in una società che, sempre più frequentemente, si muove nella direzione di ridurre l’esercizio – soggettivo, talentuoso e rischioso – della valutazione, rivolgendolo in un processo di certificazione, operazione astrattamente oggettiva, largamente predeterminata e talvolta deresponsabilizzante. Jane Jacob ha scritto pagine eloquenti al riguardo.
Una alternativa, per il Manuale, è forse quella di diventare Sussidiario, per usare una parola che nasce in ambito scolastico ma che esprime un concetto molto pertinente al lessico della cooperazione e del terzo settore.
Diventando Sussidiario il Manuale accetta fino in fondo la metafora che interpreta il processo di sviluppo locale come un vero e proprio processo educativo che ha costantemente la necessità di ricevere dall’esterno non ordini e raccomandazioni, quanto piuttosto suggerimenti e suggestioni.
Sussidiario come deposito sapienziale di consapevolezze che diventeranno linee guida solo nella elaborazione laboratoriale che ogni singolo percorso strategico si darà, nei suoi tempi e nei suoi modi, intendendo la propria diversità non come separazione di ciò che altrove accade o è accaduto, ma come originale ricombinazione di elementi che hanno avuto altre vesti e altre vite in altri contesti.
Significati che il processo collettivo di apprendimento e trasformazione della realtà che si realizza nello e con lo sviluppo locale, risignifica e riadatta, modificandoli, all’orizzonte dei propri problemi.
Significati la cui comprensione sarebbe infinitamente minore se, nano sulle spalle di giganti, non sapesse far propria e rielaborare la consapevolezza maturata dalla applicazione di molti attori, di molte comunità e di almeno un interprete, competente, coraggioso e umile, che le ha raccolte con solerzia e acribia in un Catalogo che, nelle mani giuste, si trasforma in un Manuale. O viceversa.